CONVEGNO “VIOLENZA IN FAMIGLIA”

UNIVERSITA’ NICCOLO’ CUSANO

 

 

Dott.ssa Anna Maria Casale

La violenza in famiglia è un crimine che sta impegnando molti studi e risorse volti alla comprensione di questi fenomeni criminali per poter mettere in atto programmi di prevenzione.

Tra i crimini più efferati ed incomprensibili che si verificano tra appartenenti alla stessa famiglia spicca per gravità, il figlicidio, in particolare l’omicidio del figli commesso dalle madri. Questo delitto è considerato contro natura poiché è attuato proprio da colei che dona la vita ad un nuovo essere umano, va in contro tendenza con la natura antropologica e culturale che vede la madre come colei che protegge, accudisce e nutre le proprie creature.

Ciò che protegge dalla aberrazione di questo gesto, porta a pensare che una madre assassina non possa che essere affetta da una qualche patologia psichiatrica che spieghi il gesto come clinicamente “folle”, seppur sia ben risaputo scientificamente che non è così, ci sono donne che sono realmente affette da psicopatologie che quindi non comprendono la gravità delle loro azioni, ma molte altre che invece sono lucide e consapevoli.                                      

Fino all’800 in Italia l’infanticidio era considerato un aggravante per il vincolo di parentela che lega la vittima all’autore del reato; con l’avvento delle discipline psicologiche, la mutazione dei complessi socio-culturali, maggiore attenzione data al fenomeno nella sua complessità, si prenderanno in considerazione non solo i fenomeni criminologici bensì diventerà importante, anche giuridicamente, considerare le condizioni fisiche e psicologiche in cui versa la madre assassina. Nel 1930 secondo l’art. 578 c.p. l’infanticidio diventerà un reato autonomo che prevede delle attenuanti per la madre che commette questo crimine, per salvarne l’onore proprio o quello del congiunto (infanticidio d’onore) la reclusione era da tre a dieci anni. Questo delitto si configurava solo se il fatto criminoso avveniva nell’immediatezza del parto per le alterazioni psicofisiche connesse ad esso proprio in virtù dei turbamenti psichici legati alla gravidanza. Per infanticidio si intende l’uccisione del neonato nei primi periodi dopo il parto.

Un importante ulteriore cambiamento si ha con la legge 422 del 1981 art.578 in cui si elimina definitivamente la causa d’onore ma si attribuisce maggiore rilevanza giuridica ad aspetti fino a quel momento tralasciati, questo apre la strada ad una rivalutazione fondamentale poiché si terrà conto della fragile e delicata condizione psicologica nella quale può trovarsi una donna dopo il parto. Si ipotizza l’infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale come attenuante dell’omicidio volontario “la madre che cagiona l morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni. A coloro che concorrono del fatto di cui al primo comma si applica la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia, se essi hanno agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita da un terzo a due terzi”. I genitori che uccidono i figli al di fuori di questo strettissimo arco temporale saranno colpevoli di omicidio secondo l’art. 575 del c.p. che recita “chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ai ventuno anni” con l’aggravante della consanguineità.

Questo terribile crimine è comunque numericamente sottostimato in quanto esiste ciò che in criminologia è definito il “numero oscuro” riferendosi a quei delitti che non sono stati censiti in quanto non arrivati alla conoscenza dei sanitari e delle Forze dell’Ordine. Madri che partoriscono in casa ed in luoghi non convenzionali che uccidono o abbandonano il figlio provocandone la morte. L’infanticidio che avviene al momento del parto, meglio definito come neonaticidio, è privo di premeditazione e della consapevolezza di uccidere, generalmente il reato avviene durante lo stato emozionale che segue il parto, ovvero lo stato di disagio psicologico causato dal perdurante turbamento provocato dal parto stesso. Nel periodo successivo alla nascita, infatti, sono frequenti alcuni segni di disagio psicologico spesso di tratta di forme di tipo depressivo (baby blues, depressione post partum, psicosi puerpuerali).

In criminologia si definisce infanticidio l’omicidio del bambino fino ad un anno di età, invece si definisce figlicidio il delitto commesso dopo il primo anno di vita del bambino. La differenza non è data solo dall’età del minore ma anche e soprattutto dal tipo di legame che lo unisce alla madre. Nell’infanticidio il rapporto madre-figlio non ha avuto ancora modo di svilupparsi e rafforzarsi nel tempo, tanto che le madri percepiscono il figlio come un prolungamento di se stesse e per questo motivo credono, inconsciamente, di poter decidere della loro vita e della loro morte. Nel figlicidio, viceversa, c’è stato il tempo necessario per la creazione di un legame affettivo e differenziale.

Le cause che possono spiegare l’omicidio del figlio si possono suddividere in questo modo:

 

Tra le tipologie di figlicidi bisogna annoverare quella come conseguenza data dalla Sindrome di Munchausen per procura in cui la madre procura volontariamente lesioni e patologie al figlio attraverso la somministrazione non necessaria e eccessiva di farmaci per apparire agli occhi dei sanitari come una madre premurosa ed amorevole. Tali comportamenti non necessari ma anzi lesivi portano il più delle volte al decesso del figlio.

Tra i fattori di rischio che possono predisporre alla dinamica omicidiaria possiamo includere variabili bio-psico-sociali: psicopatologie, malattie fisiche, abuso di medicinali, insonnia cronica, frustrazione esistenziale.

Nella valutazione psicologica, psichiatrica e criminologica delle madri assassine è fondamentale conoscere non solo il mondo intrapsichico dell’autrice del reato ma anche allargare lo studio al contesto familiare attuale e di origine, in quanto gli studi non escludono come motivazione al reato, le condizioni conflittuali in ambito familiare oltre che intrapsichiche. La conoscenza delle relazioni familiari fornisce elementi essenziali per la comprensione della criminodinamica che è indispensabile per accedere alla valutazione intra-psichica.

Da studi condotti dall’F.B.I emerge che le madri assassine sono donne immature psicologicamente, che spesso sono state “abusate nel corpo e nell’anima” sia da piccole che da adolescenti. Se non sempre è possibile trovare delle vere e proprie patologie psichiatriche in molti casi ci si trova a valutare donne che sono affette da nevrosi o disturbi di personalità. Spesso esiste un Disturbo Borderline di personalità per cui le madri non riescono a provare empatia e mettersi nei panni dell’altro e comprenderne le emozioni con conseguente mancanza di compassione e istinto materno, stato che in alcuni casi può essere aggravato da uso di alcool o droghe.

Nella complessa personalità della infanticida e figlicida sembra prevalere una intensa ambivalenza tra inclinazioni amorose e inclinazioni figlicide. L’ambivalenza materna si manifesta nelle sue polarità estreme: prendersi cura e amare il proprio figlio oppure odiarlo fino ad ucciderlo. Il legame ambivalente è mantenuto dal conflitto tra dentro e fuori caratterizzato da un’immagine pubblica perfetta e un’interiorità malata espressa nell’ambito privato, domestico ed affettivo.

Questa tipologia di reto ha sempre una origine multifattoriale in cui giocano un ruolo significativo elementi individuali, psicologici, familiari, culturali, sociali e psicopatologici.