SETTIMANALE  “VISTO”

 

Psicologa, psicoterapeuta, professoressa universitaria, docente di Criminologia e Psicologia Giuridica. E non è tutto. Anna Maria Casale è anche fondatrice dell’Accademia di Criminologia e Scienze Forensi “PSICEF” che svolge attività di formazione in Psicologia Clinica e Forense. È una professionista si muove con disinvoltura in settori strategici molto delicati, perché sono quelli che scandagliano la mente, alla ricerca dei motivi profondi che causano sofferenza agli esseri umani. L’aggiornamento professionale è costante anche nel settore della criminologia e lei non perde nulla di tutto ciò che può aumentare il livello delle sue già alte competenze. Anna Maria Casale è rientrata di recente dagli Stati Uniti, più precisamente da Orlando, dove ha partecipato al 75° Congresso Internazionale di Scienze Forensi. La sua professione è una quelle che oggi appassiona molti giovani che si iscrivono a corsi di Psicologia Forense e Criminologia. Ecco alcuni dettagli spesso sconosciuti.

Partecipando all’appuntamento annuale della Conferenza Internazionale che si è tenuta ad Orlando ha avuto modo di riportare nuove soluzioni per chi, come lei, svolge la professione di criminologa e di psicoterapeuta forense?

«Ritengo che, in generale, ci sia sempre qualcosa in più da sapere e da scoprire, in particolare quando ci si allontana così tanto dall’Italia. Alla Conferenza in questione eravamo circa 3000 persone, arrivate da tutte le parti del mondo e nel corso dei lavori si sono susseguiti centinaia di interventi da parte di relatori di ogni nazionalità. Un’esperienza simile ti aiuta senza dubbio ad aprire la mente e a non rimanere focalizzato su quello che già conosci e soprattutto, a non concentrarti e basarti unicamente su ciò che si fa in Italia».

Gli Stati Uniti a volte sono qualche passo avanti rispetto a noi, ma è poi possibile riportare nel nostro paese ciò che si apprende dalle loro parti? Intendo dire: l’innovazione va bene, ma siamo pronti a utilizzarla e anche a livello normativo, su certe dinamiche investigative, siamo pronti a usare tecniche diverse?

«Mettiamola così: noi professionisti cerchiamo di portare innovazione e nuove tecniche che a volte apprendiamo all’estero.
In realtà non si inventano nulla di nuovo, la differenza consiste nel fatto che loro applicano certe metodiche e certi processi che conosciamo e che sono ampiamente sperimentati, mentre da noi si stenta ancora, a volte, a essere metodici come lo sono gli americani. La formazione continua, peraltro, è sempre più importante in particolare in quest’ambito ed è in continua evoluzione. Anche perché le tecniche scientifiche si affinano sempre di più, e di conseguenza quello che possiamo fare e i risultati che possiamo ottenere, diventano sempre più precisi».

A proposito di Intelligenza Artificiale applicata alle indagini forensi: è sufficiente a risolvere un caso o la sensibilità umana sarà sempre necessaria?

«La sensibilità umana, in special modo in certe professioni, sarà sempre richiesta. Ad un sistema di AI si possono richiedere determinati risultati, ma è grazie all’intuizione, alla capacità umana di intera- gire umanamente con le situazioni reali che si possono raggiungere i risultati desidera- ti. Direi che l’integrazione umano-intelligenza artificiale può migliorare questi processi».

Tornando alla sua recente esperienza vissuta al Congresso di Orlando: cosa porterà nella sua professione di quanto appreso in quei giorni?

«Tanto, anche sotto il profilo umano ed emozionale. Ho rafforzato la consapevolezza che il mio lavoro è qualcosa che va oltre, che non è un campo arido che si ferma alle indagini ma è un processo evolutivo, da cui continuare a imparare. A Orlando le sessioni da seguire sono state 13: dal- la psichiatria alle scienze comportamentali, passando per altri ambiti fondamentali per la professione. Partecipare a queste sessioni mi ha aiutato a capire an che che le soluzioni che decidiamo
di mettere in campo rispetto a determinati disturbi, come per esempio quelli di tipo psichiatrico o quelli della sfera comportamentale, per esempio i disturbi dell’attenzione di cui oggi si parla molto, possono essere affrontati guardando in maniera prismatica gli individui».

La moderna psichiatria tende a curare, come ritengono alcuni, pre- scrivendo troppi psicofarmaci e senza guardare troppo alle ragio- ni che hanno portato a disturbi del comportamento. Qual è il suo pensiero a riguardo?

«In alcuni casi la farmacologia è indispensabile come approccio immediato alla terapia, ma non tutti i casi sono da curare attraverso i farmaci, ovviamente. La psicoterapia è necessaria poiché i farmaci servono per abbassare i sintomi (la punta dell’iceberg) la terapia per curare la parte più profonda che quel sintomo lo ha innescato (la base dell’iceberg). Senza la cura della parte profonda, ovvero i sintomi, eliminando i farmaci, o tornerebbero o si tra- sformerebbero in nuove manifestazioni sintomatologiche».

Oggi si sente spesso parlare di Criminal Profiling e in generale la criminologia attrae molto, anche perché esistono trasmissioni televisive basate sui casi di cronaca nera che hanno fatto esplodere la passione per questo settore.

«Per ciò che concerne il Criminal Profiling si tratta di metodiche relativamente nuove che fanno parte di nuove scienze che si integrano alla psicologia. È un settore molto affascinante che coniuga la psicologia con l’investigazione tradizionale. Riuscire a stilare un profilo di personalità per fornire un aiuto, talvolta sostanziale, nel processo investigativo è di grande soddisfazione. Per anni si è lavorato at- traverso l’investigazione, oggi bisogna essere formato anche su altri aspetti e metodiche ma è un bene poter contare su questa continua evoluzione e sulle ottime opportunità di apprendimento che ci fornisce la formazione continua».

L’esperienza si fa sul campo ma la formazione è fondamentale. Oggi si tende un po’ troppo a ritenersi competenti magari solo perché si è conseguito un titolo accademico, non trova?

«È verissimo. Non basta studiare e specializzarsi, è necessario formarsi, fare la gavetta, poi lavorare e seguire le persone che, prima di te, hanno abbracciato la professione. Un po’ di umiltà aiuta a crescere, a imparare e dunque serve per diventare professionisti preparati».

I nuovi metodi investigativi aiu- tano a non lasciare a piede libero un assassino?

«Certamente. Basti pensare a casi che sono stati riaperti, come quello dell’omicidio di Valentina Salomone, ma lo stesso caso della morte di Mario Biondo in Spagna: se a qualcuno non fosse venuto in mente di rivalutare le indagini, quei casi sarebbero stati chiusi senza proseguire le indagini in maniera approfondita. Il caso di Mario Biondo, poi, così ricco fin dai primi istanti di elementi non analizzati né repertati che facevano comprendere come non fosse ipotizzabile il suicidio, deve far riflettere».

Chi è Anna Maria Casale, quando dismette i panni della professionista?

«Adoro viaggiare perché mi dà un grande senso di libertà che non trovo in altre attività. Viaggiare, passare inos- servata in luoghi lontani, accanto alle persone che amo, mio marito e i miei figli, mi regala quella sana libertà che non posso concedermi quando lavoro. Scegliamo preferibilmente mete estere, dove riesco ad estraniarmi totalmente. Poi, c’è la quotidianità: ho due figli ma- schi e un marito (commercialista) da sfamare. Lui però molto spesso mi dà una mano».

Qualche volta porta il lavoro a casa?

«Molto raramente a dire il vero. In casa torno a essere la mamma e la mogli. Faccio uno stacco totale da tutto ciò che rappresenta la mia vita professionale».

Che moglie e mamma è? Riesce a coniugare una professione comples- sa come la sua con la dimensione familiare?

«A volte temo di concedere poco tempo alla mia famiglia, credo che dipenda dal fatto che, effettivamente, la professione mi assorbe davvero tanto. Intimamente non so quello che pensano i miei figli di me, fino in fondo e non lo saprò mai, perché come tutte le mamme, alla fine non conosciamo i nostri figli come vorremmo. Ed è anche giusto che sia così: è una parte di loro che non ci appartiene e che resta per noi un grande mistero».

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